Ci si dice ogni volta che è l’ultima,
e puntualmente si entra per sostarvi
più a lungo.
Non luogo di conquista, quanto punto
di non ritorno.
Il vizio che non si può smettere .
Il fegato che cede.
Cosa può spingere a prendere di notte l’auto per
entrare da soli ogni volta in un fottutissimo piccolo
bar in periferia? Niente
altro che un bisogno, una mancanza, una dipendenza, un’astinenza.
Si entra a passi lenti, sfiorando con la coda
dell’occhio ogni viso estraneo.
E la solitudine rende impacciati e
attira gli sguardi indesiderati.
E per togliersi d’impaccio, si preferisce non guardare
nessuno dritto negli occhi e slanciarsi verso il bancone, senza troppi preliminari.
Si ha fretta di consumare. Ogni
secondo che separa dal momento in cui finalmente le labbra toccheranno il vetro
freddo, diventa un supplizio intollerabile.
La durata di quel supplizio non
dipende da altri che da lui. L’uomo enigmatico e sorridente oltre il bancone.
Di lui, nessuno degli avventori sa qualcosa
di preciso. E’ per lo più una leggenda.
Nessuno sa nemmeno come si chiami. Lui
è il barman. E nessuno ha altro appellativo all’infuori di questo per
chiamarlo. Ma questo distillato di lettere, basta a racchiudere
le confidenze e le speranze e le lacrime e i sorrisi e i buoni propositi e gli
amori e le storie che ciascuno degli avventori gli affida, pienamente fiducioso.
Eppure, anche una volta, sul barman
intento a versare un brandy a Tizio, e una vodka a Caio, si sarà visto un
sorriso forzato ciondolare intorno al collo. Un cappio nero che si stringe
quando muove la testa.
E più volte, è indubbio, avrà temuto di soccombere sotto il
fardello degli altri, ma non avrà avuto cuore di chiudere. Nonostante l’orario
di lavoro abbondantemente sforato, e un caos assoluto da riportare all’ordine.
E più volte, avrà dovuto fare i conti
con degli avventori troppo impazienti della loro dose di sorrisi alcoholici.
Tutti tossici in astinenza dalle sue parole.
E lui è uno, loro sono troppi. E
mancano i soldi per far lavorare altra gente al bar.
Mi sono affezionata al barman. Vado a
trovarlo ogni sera mentre lavora, con l’intento preciso d’estorcergli uno
sguardo e di suggerirgli la playlist da mettere in locale.
Vorrei che per una volta fosse lui a
confidarsi, aprirsi, sorridere sincero, e non solo per mestiere.
Mi resta da compiere una sterzata non
indifferente, per ottenere
un’inversione completa di ruoli.
-Beh, cosa ti verso?
- Un bicchiere di Te caldo, grazie.
- Un bicchiere di Te caldo, grazie.