martedì 31 dicembre 2013

Ed è subito la fine dell'anno.

Alberi e case diroccate sfilavano veloci, e poi edifici di varie fatte, e poi gli scogli a forma di T, il mare rosso scintillante e il cielo giallo ocra e grigio-azzurro  dell'inizio dell'imbrunire. Dell'inizio della fine di quella giornata. Dell'inizio della fine di qualcosa. Solo dalla fine di qualcosa può iniziare qualcos'altro, si disse, mentre disegnava con un dito un piccolo cerchio sul vetro appannato dal freddo del finestrino del posto n. 43 d'un espresso diretto a sud, gremito.
....
In un'altra porzione di realtà spazio-temporale, qualcuno disegnava  un cerchio sul bordo del grande bicchiere di birra che il barman aveva fatto scivolare sul bancone.
Il locale era molto affollato quella notte, per un evento un po' sopra le righe, un esperimento d'incastri tra linguaggi, tra radio e web, tra cronaca e poesia.
Tra sogno e realtà. Tra savi e folli.
La brunetta arrivò, un po' stanca a dire il vero, dopo la performance sul palco di pochi minuti prima. Sorrise sotto gli sguardi indiscreti degli avventori accalcati al bancone.
Prese per mano un altro dei relatori, uno dalla faccia pulita e la voce professionale, coi capelli molto corti color miele e gli occhiali sul naso e lo condusse lontano dal bar,  aprendo un varco nella folla di curiosi.
L'imbucata alla serata rimase a guardare, non senza invidia, i due giovani che si tenevano per mano, uscendo.
Li osservò cercando di non dare nell'occhio, mentre rifuggivano le domande indiscrete, via, lontano nella notte fresca novembrina, lui  con uno zainetto sulle spalle, lei esibendo una meravigliosa capigliatura bruna mediterranea lucida.
Si sedette, sola, a uno dei tavolini neri del bar, senza dare nell'occhio, perché ognuno aveva qualcosa di meglio da fare. Alla consolle, il famoso dj ospite d'onore della serata, metteva su qualche orribile pezzo dance o qualcosa di simile.
Danze, drink, risa e caos, nell'euforia generale legata all'evento appena trascorso.
Scrisse qualche riga su un foglio e uscì nel buio. Senza aggiungere altro, quasi senza muovere un muscolo, almeno sulle prime.
Poi attraversò tutta la città a piedi, fino alla stazione e le fece bene.
La stanchezza le diede energia.
Comprò una birra e passò un dito disegnando un cerchio  sul bordo della lattina, mentre saliva sul treno puzzolente e sporco che l'avrebbe riportata a casa.
Un anno può trascorrere in tutta la sua piatta durata senza che davvero nulla di significativo accada. 
Ognuno sta solo sul cuor della terra, trafitto da un raggio di realtà, nuda e cruda.
E prima che te ne possa rendere conto, è già la fine d'un altro, terribile anno.

giovedì 26 dicembre 2013

Asmodeo

Col favore di questa notte mistica, una dolce parola ritmica, e un asfodelo. O Asmodeo.

martedì 10 dicembre 2013

Cafè Paris


Scultura.


Silhuette


Rovine


Saudade


Verde simil-londinese


Prospettive


Messaggio alla Luna


Ombre


Metal notes


Blue winter


Psichedelyc Water


Bucato


Lacrime e cemento (in giro per Messina)


Arte zombesca ( scattando in giro per Messina)


Dinamite (scattando in giro per i murales a Messina)


Pray ( scattando in giro per Messina)


E se mancano i remi? ( murales per le strade di Messina, particolare )


4-5


lunedì 9 dicembre 2013

A Silvia

Tu plasmi parole nuove per respirare, per respirarti. Per espiarti. In questo mondo angusto sei sottile ostilità. Amara come l'amara consapevolezza della caducità. Amara consapevolezza della Terra nella Notte in cui sola t'addentrasti. Sola, eppure parli al Mondo e ti fai desiderio originario su cui mi chino. E non oso leggere il tuo senso tra le tue righe terribili. Eppure sei Musa.




venerdì 6 dicembre 2013

Canovaccio

Dopo la cena, i movimenti tranquilli dello spreparare la tavola, i commensali immersi nelle loro conversazioni distese, giocose o brillanti.
Ma nelle cucine, col favore dei piatti unti di olio verde e della schiuma calda, accanto alle dita e alla voce protagoniste del concerto, alla piccola escrescenza sotto uno degli occhi intensi,  miracolosamente strappati per qualche ora alle consuete estraneità,  Elsa riscosse il suo piccolo premio.
Si girò sulla schiena mostrando l'addome.
Inarcò il piccolo corpo mantato di grigio lucente morbido, e tutta la sua felina grazia si convertì in estasi al tocco sapiente  delle dita amorevoli del musico.
Chi s'era chinato su quel desiderio originario si produsse in un atto di suprema dolcezza,
spettacolo di familiarità ineffabile e commovente concesso solo a pochi eletti.



domenica 24 novembre 2013

Lettera a uno sconosciuto.

So che non leggerai queste frasi anche se le scrivo solo per te.
So che la nostra amicizia non è mai iniziata ma mi piace pensare che se mai iniziasse sarebbe una di quelle che potrebbero cambiarmi la vita per sempre.
So anche che in fondo, anche così mi hai cambiato la vita, mi hai aiutato a stare meglio, mi hai dato tanto come non saprai mai di avermi dato.

So che è inutile scrivere tante sciocchezze; che non potrò mai incontrarti per strada per caso; che non parleremo mai per ore al telefono; che non camminerò mai al tuo fianco, nè potrò mai chiederti di ripetere di nuovo qualcosa, di avvicinare di più la tua bocca al mio orecchio, o di spiegarmi meglio un concetto, no; so che  non mi farai mai leggere nulla in anteprima, che non mi chiederai mai un consiglio; che non faremo mai un giro alla domenica nel parco, che non conteremo mai le foglie giallo-marroni per terra sdraiati all'ombra d'un albero secolare; che non rideremo mai insieme delle gaffe d'un conduttore televisivo; che non ci commuoveremo mai insieme per la scena triste d'un film; che non vedrò mai  sui tuoi occhiali il riflesso della luce d'una sala d'un cinema, o d'un'alba, o d'un tramonto; che non ti chiederò mai cosa stavi cucinando, o quanto zucchero metti nel caffè; che probabilmente non riprenderemo mai il discorso sui padri che iniziammo solo per caso.
Non faremo mai nulla insieme, non ci conosceremo mai, non imparerò mai a non sbagliare con te, a contenermi, a non tirare troppo la corda. Eppure so anche molto di più , e  lo so con tutta la rabbia, l'amarezza e il veleno che certe constatazioni loro malgrado è giusto portino con loro.
Perché se anche ti ostini a continuare a usare  la scusa della paura, lo sa bene chi hai preso per mano attraverso una folla di curiosi, innanzi ai miei stessi occhi ottusi, che sai essere molto coraggioso se solo ne hai voglia.

Ma c'è anche un'altra cosa che so, ed è che non smetterò mai di chiedermi come sarebbe se fosse diverso da come è.

Le elucubrazioni contorte d'un povero megalomane solitario ovvero riflessioni circa il successo del girovagare del principe Miskin alla volta dell'abitazione di Rogozin


Come era arrivato in quel posto, non  lo ricordava.
Come tutte le volte che camminava  distrattamente imboccando vicoli sconosciuti in paesi  familiari.
Doveva  aver attraversato tutto l'abitato a occhi chiusi, nella notte, senza aver incontrato neppure una luce.
Aveva piovuto molto e pioveva ancora.
Pioveva  pioggia acida sulla terra che la rifuggiva, inorridita.
Pioveva sulla vegetazione stanca e sfigurata.
Come era  arrivato in quel posto desolato e lugubre, non riusciva  proprio a ricordare.
Come aveva fatto il principe Miskin a trovare l'abitazione di Rogozin senza conoscere neppure la strada?
Non dovette averlo  mai capito neanche il principe stesso.
Come aveva fatto tutto quel  tempo a camminare da solo per strada mentre tutti gli altri assistevano alla scena divertiti,  vedendolo gesticolare come se parlasse con qualcuno e senza accorgersi che quello fosse un monologo?
Come aveva fatto a cercare le  espressioni migliori, la giusta intensità dello sguardo, le movenze delle mani,  il ritmo del passo,  il modo di ravviare i capelli, la luce da farvi filtrare attraverso, l'argomento più originale, ogni minimo dettaglio come se parlasse a qualcuno?
Perché l'aveva  fatto e come aveva potuto essere così vanitoso e magalomane, come?
Come aveva potuto essere così superficiale e immaturo?
Come aveva fatto a non curarsi della gente che assisteva al proprio delirio d'onnipotenza, alle pose forzate, alla ricerca dell'intonazione più convincente, sa ssssa prova, della frase più a effetto, dell'espressione più drammatica, dello sguardo più truce, dell'incurvatura più amara degli angoli della bocca?
Come aveva fatto a non accorgersi dell'effetto comico di tutto questo sforzo che lo lasciava esausto  e con un pugno di mosche, magari a osservarle mentre gli morivano tra le dite con le viscere purulente in bella vista.
E ora che egli stesso si era confuso tra i passanti che lo additavano come lo schizofrenico di strada di turno; ora che si autoadditava come un povero idiota, aspirante attoruncolo da quattro soldi, pierrot giullare mai andato a scuola; ora che si vedeva dal di fuori, come tante volte aveva visto qualcun altro cercare l'approvazione degli altri, mortificando a quel modo la propria dignità, ora rideva lui stesso.
Passò dal fruttivendolo più vicino e rubò alcuni pomodori dalla cassetta davanti al negozio, senza esser visto e quando fu abbastanza lontano se li buttò addosso ridendo forsennatamente e fischiando.
Bu bu, sei ridicolo, non ti vergogni?





venerdì 22 novembre 2013

A proposito delle impronte sulla sabbia bagnata













Ogni solitudine se si guarda indietro troverà qualche traccia d'ipocrisia e qualche impronta di piedi umidi di codardia.

sabato 9 novembre 2013

A proposito delle ruote nella neve - I

Aprì la porta del piccolo locale facendo suonare il campanello che avrebbe avvertito il titolare dell'arrivo d'un nuovo cliente e vi entrò, senza molta convinzione.
Si trattava d'un locale costruito da non più di due anni.
Cercò invano di ricordare cosa vi fosse al suo posto quando, circa dieci  anni prima aveva lasciato i propri natali al sud,  per cercare fortuna dalla parte opposta del Paese.
Il locale era vuoto, così  senza aprir bocca sedette sul sedile innanzi al lavello, come la sottile voce da dietro al separè gli aveva indicato, calma e ferma.
Tolse gli occhiali e li poggiò su un tavolino.
Un minuto dopo aveva perso completamente il controllo della propria testa.
Sentiva il getto caldo massaggiargli la cute della fronte, della testa e della nuca, guidato da due mani esperte e precise, dai movimenti ripetuti con la  cadenza della rara pazienza, del talento umile, poco consapevole di se eppure animato dall'antico segreto d'una securtà delicatamente severa, non priva d'una ruvida e quasi selvatica dolcezza.
Quando le mani restituirono la testa al giovane, nello specchio apparve una capigliatura color miele -scuro a fiammifero che lasciava scoperta intera l'intelligente fronte ampia, offrendo alla vista di tutti la delicata bianchissima nuca, arrossata dopo la seduta, senza riservare spazio all'immaginazione circa le linee del cranio.
"Con la testa quasi nuda,  sarà un gioco da ragazzi leggervi i tuoi pensieri attraverso" disse la voce sottile con un tono privo della sia pur minima sfumatura di scherzo o d'ironia.
Cercò gli occhiali, l'inforcò e trasalì arrossendo violentemente alla vista della figura in piedi alle proprie spalle rimandata dalla lastra di vetro.


Continua.....

martedì 5 novembre 2013

Elucubrazioni stradali ovvero carmen burano nel vento piovoso.

Che strano tornare negli stessi luoghi dopo esser stato  via per un pò e trovarli uguali eppure molto diversi.
Che strano, sentire le stesse identiche emozioni, ma acuite, più dolorosamente mature di neanche moltissimo tempo fa; di quando  erano appena nate e cercavi di sopprimerle, o forse non erano ancora nate e cercavi invano di ucciderle prima che nascessero.

Che strano immaginare ancora delle corse notturne su treni mai presi, e fantasticare di tristi viaggiatori sconosciuti, e di incontri casuali che non avverranno mai.

Che strana questa rabbia improvvisa, questo scatto violento, questo buttare tutto all'aria e pensare che nulla, invero, valga davvero tutto questo immaginare, rimuginare, tentare di ricordare il non ricordabile,  tutto questo pensare, tutto questo non sai neanche tu cosa.

Invece non è strano, non  te ne stupisci affatto. Sai solo che il sentimento più forte e il più chiaro a imperversare furiosamente nella tua testa e nelle tue vene e nelle tue dita e nelle tue fibre,  e nel tuo stomaco non è certo dei più nobili o dei più delicati ora. No di certo.

E' che sei stanco, stanco di lasciarti sedurre dalle parole degli altri, di mettere ancora il piede nelle stesse tagliole, di ferirti, di sanguinare, di lagnarti, di esagerare, di fare il bambino lamentoso, di fare i capricci, di sbagliare, di non imparare mai la lezione, di non smettere mai di desiderare, di non smettere mai di essere così presuntuoso e megalomane, di lasciarti influenzare troppo dal modo di fare di quelli che a volte ti penti di aver incrociato per caso per strada. Stanco di avere la sensazione di star seguendo la falsa riga di qualcuno, di star inseguendo qualcuno che non si fermerà mai, lo hai sempre saputo. E al sorriso amarissimo che ti sale agli occhi,  parola scritta alcuna  e alcun  espediente potrà mai porre rimedio.

Non più.

E ancora la stessa sensazione  terribile di non aver fatto tutto quello che avresti potuto fare per realizzare qualcosa; di aver fatto sempre la strada sbagliata quando avresti potuto fare tutto diversamente, e tutto meglio; di non aver mai avuto una buona memoria, di non ricordare nulla della tua infanzia; di aver dormito per tutta una vita, di aver perso gli anni migliori, di non aver mai iniziato a vivere come fanno tutti, di essere ancora in letargo dalla vita e di non avercela mai fatta. Di aver cambiato addirittura modo di scrivere, di non aver mai saputo usare la punteggiatura, d'imitare troppo spudoratamente la punteggiatura e il ritmo di certi testi che hai letto, e che non finirai mai di leggere, che ti si sono incastrati tra viscere e fegato e che ti fanno venire la gastrite ogni volta che li riprendi. Di non aver profferito parola per mesi e di non esser riuscito a scrivere un rigo per troppo tempo. Di non aver pianto per mesi e di aver poi, miracolosamente allagato all'improvviso una tastiera, provocando un irrimediabile corto circuito.

La sensazione che tutto sia inutile.

Il proposito di non passare mai più notti intere a friggere tonnellate pesanti d'illusioni, ma preferire piuttosto  ripararti dalla tempesta tra le mura delle tua stanza uscendo fuori a correre  sotto la pioggia violenta.
Per non perderne mai più un solo sospiro, o parola, o confidenza intima, o modulazione della voce che non abbia inzuppato la tua maglietta prima d'ora.

lunedì 28 ottobre 2013

Senza titolo o del rumore della tua biro sulla carta.


Parlami,
io sono qui,
e ogni centimetro del mio essere si fa orecchio teso ad ascoltar quello che hai da dirmi.
Scrivimi,
aspetto di sentire sotto le dita lo spessore dell'inchostro scuro-denso-compatto-pesantissimo della tua biro.
 E se lascio arrivare il pensiero un pò più in là,
ti vedo mentre scrivi caratteri fitti su una carta ruvida, ma elegante,
e a ogni tratto mi si scava qualcosa dentro.
Non so perché,
ma mi son chiesta in che modo cerchi le chiavi di casa in tasca;
 se t'è mai capitato di non trovarle;
 se ti ha mai preso una fitta allo stomaco dinanzi a una porta.
Ma,
soprattutto,
mi son chiesta,
che rumore fanno le tue mille incertezze mentre il tuo capo poggia sul cuscino.
Scrivimi,
oppure parlami,
oppure guardami in silenzio.
Io sono qui.


Omaggio a Epicuro

Non c'è posto migliore di questo, se ci si vuole adagiare
su una spaziosa superficie d'illusioni impolverate.
E in questo teatro dall'acustica scadente, torni ancora una volta, spettatrice poco riguardosa, a occupare abusivamente le prime file.
Il posto è lo stesso, ma forse sei tu a esser più
miope, e a sentir peggio.
Cos'è questo puntino invisibile, lontano anni luce da te, che per
qualche motivo inspiegabile, ti rimbalza dinanzi al naso e
ti entra in gola?
Non ne hai idea.
Forse sono solo umori vaghi o febbrili elucubrazioni deliranti.
Le suggestioni nate dalla visita a un vecchio parco.
La vista delle  rovine di una giostra.
O della  ruggine sui fili di
quest'erbaccia nata tra i palchetti impolverati di un
anfiteatro derelitto.
Un omaggio al teatrante triste,
 all'Epicuro delle illusioni mai sopite.
 Alla polvere che distorce
tutto, e disegna ove manca la forma.
In assenza di forma, la sola polvere negli occhi.
Una maschera tentata di plasmare senza calco, e con della materia volatile.
Un'auto senza conducente , e un  volante monco;
custode del segreto delle linee della mani
che gli si sono strette intorno, madide di preoccupazione.

Grazie a @fioriales.

domenica 27 ottobre 2013

La vecchina nubile e senza nome.


Una notte, in un bar, incontrai una bellissima vecchina che m'insegnò a non porre domande troppo indiscrete.
Con un sorriso mi disse seccamente, ma non senza dolcezza (io la sfidavo decisa a non distogliere lo sguardo dai suoi grandi occhi magnetici), che era nubile e non mi avrebbe mai detto il suo nome.
Mi spostai in un'altra ala del locale, col mio set da inviata speciale improvvisata e m'imbucai nella folla di vip e semivip presenti al gran gala.
Il mio uomo ( ero lì per intervistarlo) sembrava disinvolto in quella sala piena di luci e di testimoni perfetti. E in fondo, intimamente godeva nel sentirsi innumerevoli occhi puntati addosso.
Sentivo la sua voce equilibrata parlare di testate insolenti e di direttori di giornali ignoranti.
Dal canto mio non avevo altri motivi per esser lì se non quelli che lui poteva immaginare tranquillamente.
E se ho ancora qualche motivo di dolermi è di non esser stata in grado di fermare tutto, quella notte.
Di cambiare le leggi del tempo e dello spazio.
Di sgomberare quel bar di tutti gli avventori superflui, di tutte le radio e televisioni e dei cocktails alla frutta in attesa di scivolare sul bancone.
Di tutte le rimembranze mie antagoniste.
Di tutte le sue paure, di tutte le sue timidezze, del mio parlare monco, e del mio cuore, che per un attimo ho creduto si fosse arrestato.
Avrebbero dovuto arrestarmi per non esser stata capace di portare a termine la mia missione, la missione che m'ero prefissa prima di partire dall'altra parte del nostro meraviglioso misero mondo.
Grazie di tutto, virtuosa vecchina dai grandi occhi giovenili color nocciola.
Anche volessi, non riuscirò mai a dimenticarti.

sabato 26 ottobre 2013

Una riflessione sulla nota d'un vecchio scrittore ovvero come invertarti se non potrò mai conoscerti.

Si scrive sempre per nascondere qualcosa che si spera venga poi scoperto.
Chi l'ha scritto? 
Anche tu lo hai sempre fatto. Chissà per chi lo starai facendo ora.
E' l'unico motivo per cui ho ancora un legame invisibile con te, anche se non ci conosceremo mai.
E in fondo, a dirla tutta, ho un grosso debito con le misteriose creature destinatarie dei tuoi scritti. Delle tue lacrime. De' tuoi sospiri. De' tuoi silenzi.
E lo faccio anche io. Continuo a farlo invano, perché tanto non mi scoprirai come vorrei mi scoprissi.
Continuerò a urlare in silenzio mio malgrado pigiando forte le dita su questi tasti che s'impolverano troppo presto.
 Ascoltando canzoni dai testi  che mi evocano immagini che forse mi avevi richiamato alla mente o che forse io stessa ho richiamato alla mente pensando fossi stato tu o che forse ho inventato per aiutarmi a inventarti.
Sì, perché, non lo dimentico, sta' tranquillo. 
Che non saprò mai chi sei.














domenica 13 ottobre 2013

Di legami invisibili e di piatti di pasta al pesto.

Ci capita, a volte, di sentirci legati a persone che nella vita di tutti i giorni, invero, ci sono lontane anni luce.
A-N-N-I—L-U-C-E.
Pure, ci piace pensare a queste persone come se con loro avessimo dei legami invisibili.
“Legami” nati negli anni acerbi, della confusione e della paura, quando eravamo facilmente emozionabili, fragili, piccoli, strani, brutti, soli.
Ogni volta che una di queste persone compie un passo, ci sentiamo orgogliosi come se il progresso ci riguardasse in prima persona.
E allora ci capita di emozionarci forte, violentemente, di sentirci quasi esplodere il cuore dall’emozione al sentire certi crescendo di parole e note.
Come se ogni ripresa da dove eravamo rimasti, in realtà, ci cogliesse esattamente nel punto dove stavamo aspettando, con le vene in subbuglio, le farfalle nelle dita, e lo stomaco tremante.
Ho sentito un brivido, iersera, ho visto più d’un decennio scorrere copioso in una canzone calda appena nata dal sudore di chi l’ha concepita.
 Ho sentito, confusamente eppure con forza, il dolore, e le lacrime e il sangue di un sentire profondo, di quelli che se li provi stai male ma ti senti vivo solo grazie a quel sentire.
Ho sentito le tempie pulsare, e le gote bruciare sotto i rivoli di sale grosso.
Ho visto e sentito qualcosa di bello, iersera.
Stanotte veglia.





martedì 1 ottobre 2013

A proposito delle ruote nella neve - Incipit

Non aveva mai dato credito a chi le aveva parlato di coincidenze strane, o simboli del destino.
Mai.
Eppure, ogni volta ch'era presa da quel vortice di riflessioni disordinate, le sembrava di aver a che fare con la materia grezza d'un racconto di là da essere scritto, e qualcosa le si annodava alla gola, la terribile impressione amara del rimpianto che attanaglia.
Sì, proprio un profondo rimpianto, certo,  ma di cosa?
Una sensazione persistente, continua, incessante,la spiacevolissima impressione di non fare tutto quello che era in suo potere  per realizzare quell'idea ancora informe.
Pensò che se avesse saputo scrivere, avrebbe scritto un romanzo triste, di quelli che si leggono una volta e non si possono più dimenticare.
Di quelli che si leggono quando si ha voglia di piangere, ma che non contengono neppure un filo di glassa.
Fu così che iniziò a praticare uno sport assai in voga in quel momento: l'osservazione morbosa delle vite degli altri o più semplicemente  lives watching.

                                                                                                                            (Continua....)


venerdì 27 settembre 2013

Ricorrenza

12 mesi son passati da quando c'incrociammo per caso. Chissà se ti ricordi che mi son mancate le parole, che avevo il fiato corto e mi son limitata a ringraziarti. A ringraziarti, ahimè troppo goffamente, certo (senza alcuna delle astuzie che di solito riconoscono alle donne), di avermi porto una mano nel terribile e muto buio che mi fasciava. E anche ora senza saperlo , da lontanissimo mi tendi la mano tuo malgrado, ma senza che io ne possa sentire il calore. Così triste è la melodia del ricordo consunto che ha stinto su tutti gli altri ricordi, altrimenti opachi e sporchi.
Nel frattempo sono stata a guardare le funi del bucato, sai, quelle che nelle foto ho spacciato per seggiovie. E di notte son rimasta sveglia a osservare ombre che mi parevano di vecchie mani ossute, malate e tremanti, sulle cinture degli orti.
 In questa città fredda, ove sono straniera, mi giunge l'eco lontana dei tuoi cari silenzi.

mercoledì 25 settembre 2013

Ricordo d'una domenica pomeriggio, ovvero prime note per l'elaborazione d'un sistema di segni di grado 0, ovvero senza comunicazione


-Sapete, quando si ride per la vergogna...
gli aveva mormorato in un soffio, ma in seguito non ebbe mai a sapere se si fosse trattato d'un sogno, del delirio d'una notte solitaria e fredda nella stanza buia e satura dei rantoli della povera cara temibile Vecchia, o semplicemente dello stralcio d'una conversazione immaginaria col proprio io sovrappeso e claudicante.
Da allora era già trascorso un anno: lento, inesorabile, cattivissimo e assai poco denso di avvenimenti, mentre quel ricordo cominciava a scolorire come il panno consunto e ingiallito da anni di bisogni  e sofferenze  svolazzante sul balcone.
S'era in settembre, in un'afa che sembrava tradire l'ostinato residuo d'un'estate malata e opprimente. Eppure un anno prima, alla stessa ora del medesimo giorno, non s'era forse fatta d'un pallore più intenso, e non aveva forsanche rabbrividito negli abiti ancora leggeri, al lume della modesta scrivania dello studiolo ingombro di carte del padre sempre accigliato, a migliaia di chilometri da dove si trovava ora?
Gli aveva promesso che non lo avrebbe mai più cercato e quello - s'era e gli aveva detto - sarebbe stato il suo modo di dimostrargli la propria riconoscenza per tutto quel che aveva fatto per lei, di propria iniziativa, e soprattutto senza chiedere nulla in cambio. Si sa che i rapporti umani portano solo scompiglio.
-E' sempre stata questa, secondo me, la parte più difficile d'un atto comunicativo tra umani...aveva aggiunto con voce malferma ma con tono quasi solenne.
-Maledetto approccio. Quante occasioni perdute per non esserne stati all'altezza. Per paura di essere ignorati o,  molto più semplicemente, per non saper di cosa riempirlo.
...
-...Comunicazione. Parola cacofonica quanto orribile. Comunicare che cosa?
Non ricordava il seguito di questo sproloquio. Quale era stata la risposta del suo interlocutore? Evidentemente ci sono frasi che non ammettono risposta e silenzi che dicono più di qualunque parola. O forse è solo l'unico modo per giustificare le lunghe conversazioni senza parole. "L'amore senza toccarsi" aveva detto qualcuno. Forse amarsi senza toccarsi è come parlare con qualcuno senza aprire le virgolette. Conversazioni estenuanti senza il minimo accenno di discorso diretto.
Ne avrebbe voluto fare uno studio.
Pensò alle rilessioni assurde che le erano balenate quando aveva iniziato a passare troppo tempo sui social. Le vite sui social come atti d'un delirante teatro epicureo? 
Cosa ne avrebbe mai pensato Epicuro? 
Scomodare un grande per pensare a queste misere beghe sulla comunicazione contemporanea è quanto meno da blasfemi.
Quando era molto nervosa riempiva i silenzi un po' a casaccio, avendo cura che le parole fossero rigorosamente insensate. Ovviamente per categorie, pensò con una smorfia amara.
Da quei caratteri senza voce aveva ricevuto consigli gratuiti e senza pretese, pieni di quell'umiltà tipica delle persone sensibili e modeste. Pensò che doveva aver usato caratteri sottovoce, piuttosto minuti, e dal nome senz'altro poco appariscente.
Anni di popolarità non avevano scalfito quella penna sottile e non le avevano impedito di volgere lo sguardo alla massa indisciplinata e scalpitante dei lettori che amavano sorprendersi a giocare talvolta a scrivere, sia pure coi risultati più improbabili.
-La mia parola era malata, ma è guarita grazie a te. Ai  tuoi quaderni meravigliosamente e dolorosamente viscerali. Senza troppi abbellimenti, eppure talvolta scritti in un tono aulico. Scarni eppure pomposi. Quella punteggiatura nervosamente calma eppure ritmata , lentamente incalzante. Un fiume caldo di parole scure da mettere in cantina per l'inverno. 
L'estate era finita da un pezzo.

lunedì 4 febbraio 2013

Benzina


Ho provato a liberarmi di questo strano malessere che non mi da pace, ma non accenna a lasciarmi.
Come un odore greve di cui mi sia impregnata fino al midollo e che mi brucia radici e punte dei capelli.  O la benzina che devo a questo povero ego alcoholizzato e scellerato,  talvolta implorante, talaltre così dispotico da attirarsi gli odii più feroci.
O come un messaggio lasciato su una panchina, un muro o sulla strada. Nel migliore dei casi sarà letto da tutti tranne che dal legittimo destinatario. Eppure c'è. 
C'è, e si tocca, si vede, si può grattar via, ma ne rimarrà sempre una traccia. Verrà cancellata, dimenticata, o sepolta , ma non andrà mai via completamente. Si ostinerà a sopravvivere. Sotto le unghie di chi vorrebbe strapparla, nelle orecchie di chi vi si addormenta dentro,nelle narici di chi avrebbe voluto conservarne il profumo,  nelle mani che avrebbero voluto stringerla, negli occhi sgranati dallo stupore, in un desiderio crudele e senza sollievo, in una lacrima che si è tentato invano di trattenere con tutte le forze, in questa inquietudine notturna e diurna attanagliante. Non so cosa sia di preciso, ma una parte di me ne subisce l'influsso e ne rimane prigioniera, come costretta in una morsa di fibbie robuste impossibili da sciogliere.
E l'io vorrebbe liberarsene, ma pure, si stringe in quella morsa perdutamente. E ne muore ogni giorno di più, ma pure è l'unico modo che conosce per vivere. 
Un tronco d'albero che ti trancia in due è il tuo assassino. Ma per un pò è l'unica cosa che ti tiene in vita.