lunedì 28 ottobre 2013

Senza titolo o del rumore della tua biro sulla carta.


Parlami,
io sono qui,
e ogni centimetro del mio essere si fa orecchio teso ad ascoltar quello che hai da dirmi.
Scrivimi,
aspetto di sentire sotto le dita lo spessore dell'inchostro scuro-denso-compatto-pesantissimo della tua biro.
 E se lascio arrivare il pensiero un pò più in là,
ti vedo mentre scrivi caratteri fitti su una carta ruvida, ma elegante,
e a ogni tratto mi si scava qualcosa dentro.
Non so perché,
ma mi son chiesta in che modo cerchi le chiavi di casa in tasca;
 se t'è mai capitato di non trovarle;
 se ti ha mai preso una fitta allo stomaco dinanzi a una porta.
Ma,
soprattutto,
mi son chiesta,
che rumore fanno le tue mille incertezze mentre il tuo capo poggia sul cuscino.
Scrivimi,
oppure parlami,
oppure guardami in silenzio.
Io sono qui.


Omaggio a Epicuro

Non c'è posto migliore di questo, se ci si vuole adagiare
su una spaziosa superficie d'illusioni impolverate.
E in questo teatro dall'acustica scadente, torni ancora una volta, spettatrice poco riguardosa, a occupare abusivamente le prime file.
Il posto è lo stesso, ma forse sei tu a esser più
miope, e a sentir peggio.
Cos'è questo puntino invisibile, lontano anni luce da te, che per
qualche motivo inspiegabile, ti rimbalza dinanzi al naso e
ti entra in gola?
Non ne hai idea.
Forse sono solo umori vaghi o febbrili elucubrazioni deliranti.
Le suggestioni nate dalla visita a un vecchio parco.
La vista delle  rovine di una giostra.
O della  ruggine sui fili di
quest'erbaccia nata tra i palchetti impolverati di un
anfiteatro derelitto.
Un omaggio al teatrante triste,
 all'Epicuro delle illusioni mai sopite.
 Alla polvere che distorce
tutto, e disegna ove manca la forma.
In assenza di forma, la sola polvere negli occhi.
Una maschera tentata di plasmare senza calco, e con della materia volatile.
Un'auto senza conducente , e un  volante monco;
custode del segreto delle linee della mani
che gli si sono strette intorno, madide di preoccupazione.

Grazie a @fioriales.

domenica 27 ottobre 2013

La vecchina nubile e senza nome.


Una notte, in un bar, incontrai una bellissima vecchina che m'insegnò a non porre domande troppo indiscrete.
Con un sorriso mi disse seccamente, ma non senza dolcezza (io la sfidavo decisa a non distogliere lo sguardo dai suoi grandi occhi magnetici), che era nubile e non mi avrebbe mai detto il suo nome.
Mi spostai in un'altra ala del locale, col mio set da inviata speciale improvvisata e m'imbucai nella folla di vip e semivip presenti al gran gala.
Il mio uomo ( ero lì per intervistarlo) sembrava disinvolto in quella sala piena di luci e di testimoni perfetti. E in fondo, intimamente godeva nel sentirsi innumerevoli occhi puntati addosso.
Sentivo la sua voce equilibrata parlare di testate insolenti e di direttori di giornali ignoranti.
Dal canto mio non avevo altri motivi per esser lì se non quelli che lui poteva immaginare tranquillamente.
E se ho ancora qualche motivo di dolermi è di non esser stata in grado di fermare tutto, quella notte.
Di cambiare le leggi del tempo e dello spazio.
Di sgomberare quel bar di tutti gli avventori superflui, di tutte le radio e televisioni e dei cocktails alla frutta in attesa di scivolare sul bancone.
Di tutte le rimembranze mie antagoniste.
Di tutte le sue paure, di tutte le sue timidezze, del mio parlare monco, e del mio cuore, che per un attimo ho creduto si fosse arrestato.
Avrebbero dovuto arrestarmi per non esser stata capace di portare a termine la mia missione, la missione che m'ero prefissa prima di partire dall'altra parte del nostro meraviglioso misero mondo.
Grazie di tutto, virtuosa vecchina dai grandi occhi giovenili color nocciola.
Anche volessi, non riuscirò mai a dimenticarti.

sabato 26 ottobre 2013

Una riflessione sulla nota d'un vecchio scrittore ovvero come invertarti se non potrò mai conoscerti.

Si scrive sempre per nascondere qualcosa che si spera venga poi scoperto.
Chi l'ha scritto? 
Anche tu lo hai sempre fatto. Chissà per chi lo starai facendo ora.
E' l'unico motivo per cui ho ancora un legame invisibile con te, anche se non ci conosceremo mai.
E in fondo, a dirla tutta, ho un grosso debito con le misteriose creature destinatarie dei tuoi scritti. Delle tue lacrime. De' tuoi sospiri. De' tuoi silenzi.
E lo faccio anche io. Continuo a farlo invano, perché tanto non mi scoprirai come vorrei mi scoprissi.
Continuerò a urlare in silenzio mio malgrado pigiando forte le dita su questi tasti che s'impolverano troppo presto.
 Ascoltando canzoni dai testi  che mi evocano immagini che forse mi avevi richiamato alla mente o che forse io stessa ho richiamato alla mente pensando fossi stato tu o che forse ho inventato per aiutarmi a inventarti.
Sì, perché, non lo dimentico, sta' tranquillo. 
Che non saprò mai chi sei.














domenica 13 ottobre 2013

Di legami invisibili e di piatti di pasta al pesto.

Ci capita, a volte, di sentirci legati a persone che nella vita di tutti i giorni, invero, ci sono lontane anni luce.
A-N-N-I—L-U-C-E.
Pure, ci piace pensare a queste persone come se con loro avessimo dei legami invisibili.
“Legami” nati negli anni acerbi, della confusione e della paura, quando eravamo facilmente emozionabili, fragili, piccoli, strani, brutti, soli.
Ogni volta che una di queste persone compie un passo, ci sentiamo orgogliosi come se il progresso ci riguardasse in prima persona.
E allora ci capita di emozionarci forte, violentemente, di sentirci quasi esplodere il cuore dall’emozione al sentire certi crescendo di parole e note.
Come se ogni ripresa da dove eravamo rimasti, in realtà, ci cogliesse esattamente nel punto dove stavamo aspettando, con le vene in subbuglio, le farfalle nelle dita, e lo stomaco tremante.
Ho sentito un brivido, iersera, ho visto più d’un decennio scorrere copioso in una canzone calda appena nata dal sudore di chi l’ha concepita.
 Ho sentito, confusamente eppure con forza, il dolore, e le lacrime e il sangue di un sentire profondo, di quelli che se li provi stai male ma ti senti vivo solo grazie a quel sentire.
Ho sentito le tempie pulsare, e le gote bruciare sotto i rivoli di sale grosso.
Ho visto e sentito qualcosa di bello, iersera.
Stanotte veglia.





martedì 1 ottobre 2013

A proposito delle ruote nella neve - Incipit

Non aveva mai dato credito a chi le aveva parlato di coincidenze strane, o simboli del destino.
Mai.
Eppure, ogni volta ch'era presa da quel vortice di riflessioni disordinate, le sembrava di aver a che fare con la materia grezza d'un racconto di là da essere scritto, e qualcosa le si annodava alla gola, la terribile impressione amara del rimpianto che attanaglia.
Sì, proprio un profondo rimpianto, certo,  ma di cosa?
Una sensazione persistente, continua, incessante,la spiacevolissima impressione di non fare tutto quello che era in suo potere  per realizzare quell'idea ancora informe.
Pensò che se avesse saputo scrivere, avrebbe scritto un romanzo triste, di quelli che si leggono una volta e non si possono più dimenticare.
Di quelli che si leggono quando si ha voglia di piangere, ma che non contengono neppure un filo di glassa.
Fu così che iniziò a praticare uno sport assai in voga in quel momento: l'osservazione morbosa delle vite degli altri o più semplicemente  lives watching.

                                                                                                                            (Continua....)