sabato 8 dicembre 2012

De competizione.

E’ tutta una dannatissima competizione, sin dal primo istante che ci si affaccia a questo mondo.

Sarà per questo se non mi è piaciuto mai più di tanto.
Non mi divertivo durante le verifiche in classe, o quando ci si affannava ad alzare la mano dal posto.
E' una luce oscuramente ferina quella che s'accende negli occhi umani un attimo prima che si sbranino per arrivare primi.
Ho sempre amato i cantucci solitari, al riparo dalle accelerazioni indesiderate del battito cardiaco, e dei visi fatti di brace senza un istante di preavviso, dalle emozioni violentemente importune.
E invece mi tocca il confronto forzato continuo.
L’incessante competizione che snerva.
Per ogni sciocchezza.
Finanche camminare sulle strade delle città all’ora in cui tutti si recano al lavoro richiede un minimo di competitività.
A pensarci bene, “essere competitivi” è l’espressione più inflazionata del momento.
Nessuna formazione scolastica senza la giusta carica di competitività. Nessuna vita universitaria.
Nessuna carriera professionale. Niente.
Né si può sperare che la sfera dei sentimenti  sia immune da questo terribile gioco di passioni e d’invidie.
E’ questa la competizione più crudele.
Quando attenti alle difese d’un cuore, è inevitabile dover fare i conti con innumerevoli fantasmi più o meno potenti, ma  tutti terribilmente vivi e vegeti. Tutti pericolosamente caricati della competitività bastevole a farti fuori.
Dal passato, dal presente, e dal futuro, eserciti di sconosciuti ostacoleranno qualunque disegno di grandezza del quale ti stia affannando  sgraziatamente a sporcare il grigiore dei tuoi giorni alienanti.
Nella solitudine delle  veglie  notturne forzate e dei giorni di stanchezza assonnata a occhi aperti.



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