giovedì 20 settembre 2012

L'epilogo agognato di un'autoparafrasi del se

Questo autoparafrasarmi non è nient'altro che un mero e compulsivo inquinamento verbale.
Un ostacolo alla sobrietà,  che preme per ottenere il suo spazio.
Ma sento che a urgere è la scarnificazione fino al livello verbale zero.
L'unico aspetto spiacevole del micro-istant-blogging, è la sensazione di sentirsi sorpassare, letteralmente, dai propri stessi pensieri.
Come se troppo ciarpame coprisse agli occhi di chi vorresti ti leggesse, quello che avevi tentato di dire 3 pagine di post addietro.
Quindi l'unica cosa da fare, è fermarsi a un punto. Nella sua essenzialità. La parola d'ordine, è sempre ridurre all'osso. Di nuovo, scarnificare.
L'epilogo dell'eterna parafrasi del se, è la consapevolezza del non volersi più lasciare indietro, alla fine della pagina.
Non lasciarsi indietro come quei post lasciati ove non è più possibile recuperarli, mentre vorresti fossero in esergo.
In superficie. Che fossero l'unica cosa del caos che sei, a venire a galla.
Vorrei , talvolta , un parlare per mero comunicare , con messaggio di grado 0.
E mi giro e mi rigiro nella mia testa,
tentando e ritentando di oliare della giusta dose di  razionalità,
gli infelici ingranaggi di questo catorcio che grava sulle mie spalle doloranti.
L’ideale sarebbe saper combinare le due cose : il sobrio all’emozionale.
Ma non è facile non farsi prevaricare da una delle due facce della medaglia.
E indulgere ancora nel rimarcare l'ineffabile non è realista.
Occorrerà lavorare sul significato del verbo marcare.
Se dico che accudo il cadùco e marco il  fumoso, lo sfumato, è perchè sto provando a smettere un lavorìo votato a perdere.

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