venerdì 2 novembre 2012

Così è, se vi pare.

Mi ritrovo a profanare gli altari che innalzasti per lei, che fu, a suo modo, una grande eroina.
In questo romanzo kafkiano gioca un ruolo chiave, lo vedo bene.
Peccato  amasse mettere il broncio un po’ troppo sovente, forse.
Ma è il lavoro che rovina le vite degli uomini.
Avesti sempre troppo lavoro. Da qui mi spiego molte cose.
Il tuo dramma fu perdere la donna che amavi, riamato, d’una passione assoluta e viscerale per non riuscire a trovare un lavoro che ti portasse lontano meno tempo.
E intanto cercavi di blandirla con le tue regalìe da padre affettuoso.
E lei ti amava davvero, ma forse non abbastanza.
Le attese iniziarono a pesarle e così decise d’andarsene.
Ti lasciò solo, piegato in due,  nelle stesse stanze delle sue lunghe attese pomeridiane, a tentare invano di trarre da una parete il suo ultimo respiro.
Oltre al danno, la beffa.
Perché io, ora, mi costringo ogni notte a fare la stessa cosa.
Entro in quelle stanze che vi guardarono , lei aspettarti, voi amarvi d’una passione ardente, e poi voi lasciarvi e poi tu ammalarti senza guarire mai davvero.
E a quelle stesse pareti ingiallite dagli spasimi dell’uno e dell’altra , io ospite sgradita , imbucata a questo festino ameno, aggiungo la mia parte.
E la mia parte è il sangue sotto le unghie che non riesco a impedirmi di lasciarvi.
A ogni scavo, lascio un nuovo pezzo di me stessa  tra , dentro, ai lati, di quelle pareti troppo vissute perché non mi senta a disagio.
Perfettamente cosciente di voler stare qui fino all’ultimo moncherino, finchè non smetterò di somigliarti così tragicomicamente.
E mentre sotto le unghie mi rimangono i tuoi sospiri disperati e vani, da essi prende corpo il mio amore per te.
Non meno vivo d’un amore in carne ossa, perdio!
No, a giudicare dalla violenza e dalle dimensioni del danno a cose e persone.
Ma se c’è qualcosa per cui tremo di sdegno e di rabbia anche,
è immaginare che lei non si sia fatta bastare le tue miserie sublimi.
Che mentre essa stringeva tra le mani il vero amore, possa aver avuto a pensare a qualcosa d’altro.
Da questo mi sento addirittura offesa.
Penso al mio, di amore.
Questo amore costretto a implodere ogni minuto , che vive di stenti.
Se  io avessi potuto stringerti tra le mie mani, di sicuro tutto il resto avrebbe smesso d’esistere ai miei sensi.
Non v’è dubbio che le uniche gemme preziose che avrei bramato sarebbero state quelle dei tuoi occhi sinceri e sfrontati, delle tue labbra forti, della tua fronte fresca o madida, del sorriso di cui avrei avuto l’orgasmo a ogni esplosione. Delle tue mani da stringere forte.
Io ti avrei amato con tutta me stessa,
perché, checché se ne possa pensare,
io ti amo con tutta me stessa.
Il grottesco sta nell’essere consapevoli d’amare una maschera dalle braccia serrate.
Che riso isterico e nervoso mi prende a pensarci.
Che queste fantasie siano rivolte alla figura di due braccia che dinanzi al mio ardimento, non allentano la stretta. Rimangono saldamente conserte.
Ma lo dicesti tu stesso che a suo modo, anche questo è un abbraccio.
E nella mia illusione io vengo , di prepotenza , a disserrarti quelle braccia, ti uso violenza, guadagno spazio nel tuo cuore senza che tu me lo chieda.
Ma alla fine ti vinco.


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