giovedì 1 novembre 2012

Resta in campana

Ma io sono stanca di sentirmi in colpa per le cose che sento.
Avrei voglia di correre a perdifiato, urlare furiosamente, insanguinarmi i pugni, farmi male, piangere, urlare, liberarmi da questa orribile,intollerabile, opprimente sensazione di star sempre sbagliando. Sempre e comunque.
Sbaglio a urlare in faccia a chi m’è intorno che, mio malgrado esisto, perché è da sfrontati e ognuno ha dei fantasmi, da portarsi anche a letto, all’occorrenza; ma sbaglio anche a chiudermi in me stessa, perché rimango col dubbio atroce di precludermi  una presunta opportunità di vivere. Presunta, per l’appunto. Non mai realtà, ma sempre  e solo potenza. Vivo in potenza. Ma non vivo realmente.  Amerei anche, ma non posso. Ardo per chi mi rifugge e rifiuto chi mi adora. Concorro agli scempi dei miei amori mai vissuti, favorendone le unioni con i loro stessi spauracchi. Lavoro di cesello. Degno della prima delle stronze.
Vorrei soffrire, invece vagheggio.
Potenza  che si fa debolezza estrema.
Portatrice sana d’innumerevoli mali, de' quali, naturalmente, sono la stessa tara.
Tara claudicante, carne e ossa vuote, in armatura chiodata.
Ma di nessuno di questi mali guarirò mai, fintanto che non ne sarò malata conclamata.
Soffriì molto, ma mai d’una ferita reale. E allora, finalmente capisco il tormento che mi divora. Da sempre.
Ch’io non vivo perché non ho mai sofferto realmente. O dovrei dire d’essermi sempre strutta di non aver sofferto come si deve. D’aver desiderato troppo di soffrire senza conoscere il sapore pieno, maturo del dolore. Quello che, a meno di non essere dei non-morti, si deve aver assaporato almeno una volta, in terra.
Temo d’aver sempre solo vagheggiato ferite mai inferte al mio corpo insensibile. Tabula rasa d’emozioni reali, inventario di desideri tutti senza segno di spunta.
Ho molto sofferto dell’assenza di dolore .
Credei addirittura di provarne. Ma m'ingannai sempre. Fu semplice ossessione d’una mente malata, terrorizzata dai commiati preannunciati. Sproloquio, conati d’emozioni mal rattenute e vomitate a chi non le meritava, ma che pure m’aveva infilato due dita in gola. Stalking, persecuzione  nelle notti di pianto disperato, e  da cui non potevo scappare. Da nessuna parte.
Questo corpo è orribilmente illeso, in  un’età in cui, normalmente, si è coperti da cicatrici di guerra, ascessi, ematomi. Tutte medaglie, ricordi di gloria o di vergogna.  E io neanche un graffio. Mai.
E allora io voglio che la gente smetta d’aver paura di ferirmi. Che mi ferisca pure, perché, perdio, non si da emozione, o sentimento da cui sia possibile uscire intonsi.
L’assenza di sofferenza è prerogativa degli dei, non certo degli uomini.
Al diavolo la fottutissima Atarassia dei miei coglioni.
Io voglio vivere fino in fondo, a costo di soffrire a morte.
Ma voglio vivere.
O questo corpo morirà di torpore.

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