sabato 3 novembre 2012

Mutilati e appesi.

Ho tentato invano, una vita intera, di sopravvivermi, d’impormi un regime di vita  ligio all’ordine, più ferreo che umano. Una vita da militare. L’esempio perfetto da seguire per chiunque desideri esser condotto per mano sull’autostrada per l’insoddisfazione, l’alienazione, per le  nevrosi sfociate in psicosi multiple,e per l’epilogo in bellezza che si legge sull’ultima pagina di tutti i fottutissimi e deprimenti racconti sul male di vivere, in perfetto stile kafkiano, de’ quali pure, e con tanta morbosità, non riesco mai a saziarmi. I miei morbosi romanzi seriali, quelli che m’uccidono un po’ di più a ogni lettura. Quelli da’ quali esco ogni volta il moncherino di me stessa. Con addosso nient’altro che i costumi di scena  d’un brutto e insignificante ruolo minore   d’Argento, morto di morte cruentissima alle prime battute del film. Possibilmente con quanta più schiuma nauseabonda alla bocca di cui possa inorridire lo spettatore. Ma ora a inorridire sono io, perché forse solo ora m’è chiaro il filo rosso sangue che unisce tutte le macabre danze delle tue parole triste e solitarie. L’unica somiglianza che non avrei mai voluto rinvenire  tra il tuo personaggio fittizio, e  la mia maschera di estremo e grottesco disagio. Quel desiderio incessante, molesto e così perniciosamente attraente di porre fine a tutti i tormenti penosamente inutili. Siamo tutti della stessa pasta, noi condannati terminali da una vita. Non alzeremo mai il becco da struzzo disotterra . Non cambieremo mai. Deh! Ah!

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