giovedì 1 novembre 2012

Sotto il vuoto

Ci sono cose che certi occhi, già abbastanza miopi, dovranno rassegnarsi a non riuscire a vedere mai.
Cose che, un campo visivo dovrà accontentarsi d’accogliere solo sotto forma di patina vitrea, velo sottilissimo, eppur così spesso, ingombrante.
 Di sale grosso, disobbediente, un poco amaro. Che ribelle brucia le orbite, trabocca, e  segue sentieri capillari d’un collo, scoscesi.
Un viso che s’ostina con tutte le forze a non farsi guardare negli occhi, e la lingua terribile del tormento delle dita annesse.
L’aspetto più grottesco d’un gioco al massacro, un’impressione. Una vita che anche una volta abbia adorato qualcuno invano, s’affranca dall’onta a un prezzo assai alto. Non già devozione del singolo, ma di masse abbacinate.
Impietoso, come un margine di dubbio.
Sufficientemente ampio da diventare una parete contro cui sperticarsi le pugna con sommo furore.
Lo stesso tormento di chi s'ammala senza rimedio, senza soluzione, perché deve rassegnarsi ad essere un portatore sano d’un male senza sollievo di conclamazione.
Male che logora da dentro, scava per disossare. Un parassita esemplare che si rifiuta di divenire, di farsi peste, piaga, cicatrice visibile .
Solco.
Crudele perché non si sente, un coltello senza lama che scava le viscere senza ledere gli organi vitali.
Ciascuno di quei folli  potrebbe  chiamare fortissimo senza poter invocare quel nome, semplicemente perché lo ignora.
 E quel nome sa bene cosa si prova. Il sadico.
Saprebbe che è solo Lui, a essere stato invocato.
E non si volterebbe nemmeno, né vedrebbe alcunché.
Neppure se di lui, si morisse.

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